Deserto

Quando dormivo sotto le stelle del Sahara, lo stupore che provai mi sembrò estremo come in nessun altra parte del mondo mi era mai capitato. Guardare questo panorama sconfinato fatto di sabbia e stelle, mi sembrava che lì fosse più facile sognare. Le stelle così incredibilmente brillanti, tante e lucenti come mai da nessun’altra parte mi sembravano più vicine quasi come se allungando la mano le potessi toccare. Mai come in quelle sere ho visto così tante stelle cadenti e mi sembrò che mi stessero facendo l’occhiolino regalandomi la possibilità di esprimere più desideri possibili.
Mi avventuravo nel Sahara per la prima volta e solo in quel momento scoprivo, che piano, piano, stavo guardando come se la vista avesse più funzioni non solo quella di vedere e compresi che l’esperienza, la parte positiva del viaggio stratifica sul cuore la luce di altre retine e di altre vite e quando al mio ritorno riincontrai gli sguardi di chi amo, scoprì di avere altri occhi e nuovi battiti nel cuore.
Il deserto rappresentava per me un simbolo tra il possibile e l’impossibile, ma più semplicemente significava sfida, senso d’avventura, incanto.
Mio padre, mia mamma e mio nonno sono stati i primi a educarmi all’avventura e a non avere paura o timore del nuovo. “Ogni viaggio è una scuola di resistenza umana” scriveva Marguerite Yourcenar. Viaggiare è una scuola di ascesi, un mezzo per perdere i propri pregiudizi mettendoli in contatto con quelli degli altri.
Anche per me sarebbe stata una scuola, volevo imparare di nuovo a viaggiare conoscere i miei limiti e provare ancora stupore.
Una giovane avventurosa che voleva misurare il proprio coraggio per l’attrazione verso un “nulla” così grande. E in fondo che cosa mi spingeva in questo spazio misterioso con l’ansia di panorami sconfinati fatti di sabbia e dune nebbiose?
Erano le insidie o le difficoltà che avrei dovuto fronteggiare ogni giorno in un posto invivibile. Erano le avventure del viaggio, quelle che accadono sempre.